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Buona Pasqua!

Pasqua significa “passaggio”, “passare oltre”, dall’aramaico pasah.
Abbiamo bisogno anche noi di passare oltre.
Oltre questo momento davvero difficile, fonte di preoccupazioni per tutti noi.
Lo scenario che ci circonda è inquietante.
Da due anni la guerra ha fatto la sua ricomparsa in Europa, e l’unica soluzione pare quella di inondare di armi uno dei due contendenti, senza alcun spiraglio per la ricerca di soluzioni. Certamente arricchendo le industrie belliche. Rendendo vieppiù baldanzosa una parte. Ma allontanando sempre più ogni speranza di pace.
Difficile essere precisi, perché le spese militari sono il più delle volte secretate.
Ma sui circa 34 miliardi di euro in armi consegnati all’Ucraina dalla sola Unione Europea, circa il 10, 12 per cento proviene dall’Italia. Tenendo conto anche degli aiuti “logistici”, il totale di spese stanziate dal nostro Paese potrebbe arrivare a circa 16 miliardi. Il 10% del totale della spesa per la sanità.
A questa guerra si è aggiunto, da qualche mese, un nuovo conflitto in Medio Oriente, dalle conseguenze imprevedibili.
Inoltre, messi in ombra dai nuovi sviluppi bellici, i terroristi dell’ISIS hanno deciso di ritagliarsi un loro sanguinoso spazio, con il feroce attentato a Mosca. Probabilmente irritati dal fatto che i nuovi protagonisti del conflitto mediorientale siano – come Hezbollah e Huthi – islamici “sciiti”, l’unica progenie che gli islamici “sunniti” dell’ISIS odiano più ancora del “grande satana” rappresentato dall’Occidente.
Purtroppo, lo scenario quotidiano nell’Occidente ancora in pace non è alieno da momenti di grande sconforto.
E’ sufficiente scorrere la cronaca in Italia degli ultimi giorni: genitori che malmenano un preside per la sospensione del figlio. Una adolescente che pugnala una coetanea aizzata dalle compagne di classe che riprendono la scena con il telefono. Un presunto rampollo della cosiddetta nobiltà che con un machete amputa la gamba a un ragazzo per motivi – pare – di gelosia. Ovunque stupri e la piaga quasi quotidiana dei femminicidi.
Ma in tutto questo le aperture degli organi d’informazione sono dedicate alla crisi coniugale di una nota influencer ovvero ai comportamenti di un cosiddetto divo della pornografia. Io, se mi consentite un giudizio personale, trovo di per sé penoso che una major dell’intrattenimento abbia ritenuto di realizzare una serie su Rocco Siffredi. Volendo dar voce al non conformismo, sempre e comunque. Ancorché amorale e becero.
Non è migliore il quadro nell’altra parte del cosiddetto “Occidente”, quella meno colta e più tecnologica. Gli Stati Uniti, alle prese con la scelta di un presidente tra due candidati che non esito a definire perlomeno imbarazzanti, vivono immersi in una palude di violenza e antagonismi, laddove la mala pianta dell’individualismo più esacerbato – cullato e coccolato dall’iperliberismo – ha scardinato quello che la propaganda aveva a lungo dipinto come sogno americano.
Questo “Occidente”, mutilato nei suoi valori cardine e vittima di un dilagante egocentrismo autolesionista, non è oggi in grado di poter indicare ad altri una via maestra di civiltà e umanesimo.
Non è un caso che ormai decine di Paesi nel mondo, rappresentanti di ben oltre la metà della sua popolazione e di oltre un terzo del PIL globale, aderiscano al gruppo dei BRICS, acronimo che dal 2001 indica le principali economie emergenti non occidentali, nel cui ambito il ruolo guida spetta a Cina e Russia.
Queste nazioni accusano l’Occidente di una volontà egemonica arbitraria, ma – soprattutto – ne denunciano una decadenza fatale, che si manifesterebbe nell’accettazione di costumi innominabili e nell’alimentare qua e là diversi conflitti. Presagio, questo, di un avvenire poco invidiabile.
Significa che il futuro sia necessariamente una cupa discesa verso una inevitabile Armageddon?
No, non credo proprio.
Proprio la Pasqua imminente ci richiama a uno spirito di speranza che ci può e ci deve coinvolgere profondamente.
Dobbiamo iniziare un percorso di “conversione”, altro termine legato alla ricorrenza pasquale. Di ritorno non solo alla proclamazione, ma alla pratica di valori morali che sentiamo ancora presenti in noi.
E’ un percorso individuale, inizialmente, il solo che possa incidere sullo scenario globale.
Non dobbiamo aspettarci nulla dalla politica “sgangherata” e non credibile di oggi, un sistema ridondante di personalismi incoerenti mossi da interessi para-elettorali e non certo da una visione alta del futuro.
Cominciamo dalle piccole cose, come la gentilezza per esempio.
Dobbiamo riappropriarci di questa parola antica e quasi in disuso nelle pratiche odierne: gentilezza. Non per stucchevole buonismo o per lusingare sentimenti emozionali, ma per aprire nuovi sentieri di fiducia e di speranza, lasciando qualche traccia minima e luminosa nel buio che ci circonda.
Dobbiamo rendere più vivibile e leggibile il mondo con la grazia sottile di un gesto che in questa fase può essere davvero rivoluzionario. Le parole non sono mai inerti quando definiscono un impegno: gentilezza vuol dire rispetto, sensibilità, cura, attenzione, affetto, ecologia umana da contrapporre alla maleducazione urlante che viaggia sulla rete e circola, mascherata da egoismi o ragion di Stato, anche nelle stanze del potere.
Dobbiamo sconfiggere il disegno di atomizzare sempre più l’individuo, di renderlo singola particella in conflitto con il resto.
Mi è piaciuta un’espressione di Aleksandr Dugin (anche se questo nome potrebbe far arricciare il naso a qualcuno…), secondo cui nel soggetto vuoto e spinto sempre di più a individualizzarsi non c’è il succo dell’uomo, la sua essenza, ma solo una apparente razionalità; una soggettività chiusa completamente in se stessa, mancante del contatto col prossimo, mancante di quella meravigliosa conseguenza che è il contaminarsi.
Partendo da questi comportamenti individuali ci troveremo ben presto uniti ad altri.
Perché la speranza è inevitabilmente contagiosa: il sogno del singolo è utopia. Quando si fa comune diviene speranza.
In ebraico speranza si esprime con un vocabolo che indica anche la corda. È bello che la speranza abbia un’anima di corda: essa trascina, lega e consente nodi. Nella speranza, quindi, c’è il senso dell’essere legato a qualcuno e a qualcosa che non lascia soli. Anche se non sempre la speranza mostra la sua fibra resistente, è bello sapere che essa ha quella tenacia d’origine. È bello pensare alla speranza come a una corda, a dei legami.
Uscendo dalle dinamiche regressive del proprio individualismo, impareremo a modificare la realtà nella consapevolezza dell’altro, delle sue attese, dei suoi bisogni e delle sue difficoltà.
Non attendiamo oltre.
Nel libro dell’Esodo è scritto che a Pasqua si deve mangiare con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano e in fretta (Es. 12, 11); essa infatti è il segno di un cammino da intraprendere e spinge a mettersi in viaggio.
Un viaggio verso un mondo diverso.
Quello che vogliamo, quello che possiamo ancora costruire.
Buona Pasqua a tutti voi.

Raffaello – “La Resurrezione” – fonte “National Geographic

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Pesach

Pasqua significa “passaggio”, “passare oltre”, dall’aramaico pasah. Gli Ebrei in questa festa, che chiamavano
Pesach, ricordavano il passaggio attraverso il mar Rosso dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione. Per i
cristiani è la festa del passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo.
Quest’anno abbiamo realmente bisogno che la Pasqua rappresenti un passaggio: verso un futuro diverso e
migliore.
Mentre ancora viviamo la pandemia di Covid, che nonostante una minor attenzione da parte dei mezzi di
comunicazione continua a mietere oltre cento vittime al giorno, sperimentiamo anche una guerra nel
nostro continente. Una Pasqua di sangue, potremmo dire. Ancora una volta. La prima occasione in cui
venne utilizzata questa espressione fu nel 1916, allorquando a Dublino gli irlandesi insorsero contro il
dominio britannico. Le truppe della “democratica” Gran Bretagna risposero utilizzando, per la prima volta, i
carri armati contro i civili. Gli organizzatori delle manifestazioni che non morirono sotto il fuoco dei blindati
finirono giustiziati.
Oggi, ancora una volta, la guerra insanguina la Pasqua in Europa. Nel nostro continente, certo, perché in
altre parti del mondo i conflitti perdurano da anni, senza che siano accompagnati da eguale clamore.
Non ho scritto, in queste ultime settimane, di questa vicenda. Sia per la sua cogente e dolorosa tragicità, sia
per il fatto che meriterebbe riflessioni profonde, condotte con una ragionevolezza che vedo carente nel
dibattito in essere.
Esiste un Paese aggressore e uno aggredito. Non ci piove ed è una realtà indiscutibile.
Punto e a capo, però. Non punto e basta! Condannare fermamente ma cercare di comprendere la realtà, le
cause e i possibili scenari futuri è ciò che distingue un essere senziente e ragionevole da un fanatico
pappagallo.
Vi è una frase di Edmund Burke, della seconda metà del ‘700, che campeggia, incisa in trenta lingue diverse,
su un monumento collocato nel campo di concentramento di Dachau: “Chi non conosce la storia è
condannato a ripeterla”.
Pare invece essere in atto una campagna mediatica ispirata dai grossi gruppi editoriali per cui chiunque
voglia approfondire o capire meglio quanto sta accadendo diviene ipso facto un seguace di Putin, il che è
assurdo.
Persino un giornalista solitamente misurato come Gramellini si è esibito in un articolo contro l’Associazione
dei Partigiani davvero vergognoso, in cui è giunto ad accusare i vecchi partigiani di aver tradito i valori della
Resistenza e di omaggiare l’estrema destra ungherese per la disposizione dei colori della bandiera
(ignorando, Gramellini, che tale disposizione era quella utilizzata dalla Resistenza nel ’44) e per la
contrarietà all’invio di armi al governo ucraino e all’aumento di spese militari. Se questo significa tradire i
valori della Resistenza e financo essere contigui al fascismo allora potremmo individuare in Papa Francesco
il leader assoluto di questo fantomatico neo-fascismo!
E’ invece doveroso porsi domande su quali siano le strade migliori per giungere in fretta al termine del
conflitto e su quale ruolo possa svolgere in questa situazione la diplomazia e, in primis, l’Europa, teatro di
questa tragedia.
Temo tuttavia che proprio l’Europa, sino ad oggi, sia una delle vittime della guerra.
Assolutamente privi di ogni iniziativa, che non sia occasionale e singola, i paesi europei si sono totalmente
appiattiti, ancora una volta, sulle posizioni degli Stati Uniti. Ma siamo certi che gli interessi americani
coincidano con quelli europei e, ancor di più, con i nostri?
Personalmente ne dubito fortemente.
Di certo agli Stati Uniti non è utile una rapida cessazione della guerra. Innanzitutto perché un conflitto
prolungato tenderebbe a indebolire Putin. Poi perché il tempo potrebbe, nei loro disegni, imporre
definitivamente l’influenza e il controllo sull’Europa, grazie anche al monopolio digitale delle cosiddette Big
Tech: non dimentichiamoci la lettera acida e minacciosa inviata dall’amministrazione Biden a Bruxelles lo
scorso febbraio in occasione dell’emanazione di un pacchetto di leggi tese a limitare lo strapotere dei
colossi Tech statunitensi. Un altro motivo consiste nel tentativo di sostituirsi nel ruolo di fornitore di beni e
prodotti ai partner europei, come già iniziato con granaglie, petrolio e gas liquefatto. A costi, ovviamente, ​
ben più onerosi. Infine, come spesso accade negli USA, una guerra aiuta la popolarità della leadership. Il che
è particolarmente utile in un momento in cui Biden, dipinto dai media americani come “un anziano che dice
cose sconclusionate” (un “rincoglionito” ha chiosato con minor eleganza Travaglio) è precipitato ai minimi
storici del gradimento.
L’Europa, da parte sua, ha invece il contrario interesse ad una rapida chiusura del conflitto che, in ultima
analisi, è una guerra “per procura” tra Putin e Biden tramite il suo emissario Zelensky. Non solo per motivi
economici, essendo i paesi europei a pagare il costo maggiore della situazione, ma – e soprattutto – per
motivi umanitari.
L’Unione Europea dovrebbe adoperarsi, in autonomia, non già nell’invio sempre maggiore di armi (fatto,
peraltro di dubbia costituzionalità, come ha recentemente argomentato Lorenza Carlassare, docente di
Diritto Costituzionale all’Università di Pavia) ma perché si giunga ad un immediato cessate il fuoco che
consenta l’avvio di una vera trattativa. Sforzo che può compiere solo agendo in prima persona, e non in
qualità di subordinato altrui. Quindi è necessario che stabilisca e disciplini il rapporto con Kiev, desiderosa
di entrare in Europa. E, da ultimo, che affronti di petto il problema della convivenza con Mosca, aldilà di
Putin e anche in funzione di un suo ridimensionamento. Non è pensabile, storicamente e culturalmente,
un’Europa senza Russia.
Occorre – in altre e più semplici parole – uno sforzo immenso verso la pace.
Che è il percorso indicato ieri sera da Papa Francesco, che ha posto accanto una donna russa e una ucraina
nella via crucis, a testimonianza di un immenso dolore che è un’atrocità umana.
Come ha detto il gesuita Padre Antonio Spadaro, è necessario partire dal disarmo delle coscienze, dalla
velleità della pace.
Partiamo da queste basi, cercando la pace e la concordia. Facciamo cessare il rombo delle armi, come
ancora ha ripetuto il pontefice.
Solo così sarà davvero “pasah”, un passare oltre, verso un futuro diverso.
Per l’Ucraina, per la Siria, per lo Yemen, per gli altri 25 Paesi del mondo coinvolti in guerre.
E allora sarà realmente una Buona Pasqua.

Foto di “Avvenire”