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Kristallnacht e il muro

La notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938 si verificò un’ondata di violenza antisemita che si propagò in tutta la Germania, nell’annessa Austria e nella regione dei Sudeti della Cecoslovacchia, da poco occupata dalle truppe tedesche.
In tutto il Reich tedesco centinaia di sinagoghe furono attaccate, soggette ad atti di vandalismo, saccheggiate e distrutte. Molte furono date alle fiamme. Ai vigili del fuoco fu ordinato di lasciar bruciare le sinagoghe, ma di evitare che le fiamme si propagassero agli edifici vicini. Le vetrine di migliaia di negozi ebrei furono distrutte e la merce rubata. I cimiteri ebraici furono profanati. Molti ebrei furono attaccati da squadre di truppe d’assalto (SA).
Venne in seguito chiamata “la notte dei cristalli”, dalla parola tedesca Kristallnacht, espressione che deve il suo nome alle schegge dei vetri frantumati che tappezzavano le strade tedesche all’indomani del pogrom e che provenivano delle finestre delle sinagoghe, delle case e delle vetrine dei negozi di proprietà di ebrei e che erano stati saccheggiati e distrutti durante i disordini.
Il governo nazionalsocialista dichiarò nei giorni successivi che la Kristallnacht era stata la reazione emotiva dell’opinione pubblica all’assassinio di Ernst vom Rath. Vom Rath, un funzionario presso l’Ambasciata tedesca di Parigi, assassinato in un attentato il 7 novembre da Herschel Grynszpan, un diciassettenne ebreo polacco. Ma non era andata così. Gli atti di violenza furono istigati soprattutto dagli ufficiali del Partito Nazista, dai membri delle SA e dalla Gioventù hitleriana. Nonostante l’apparenza di “disordini spontanei” che il pogrom assunse, le direttive generali impartite dai vertici nazisti contenevano indicazioni ben precise: i rivoltosi “spontanei” non dovevano commettere azioni dannose verso persone o proprietà di cittadini non ebrei; non dovevano attaccare gli stranieri (anche nel caso di ebrei stranieri) e dovevano sequestrare gli archivi delle sinagoghe prima di distruggerle insieme alle altre proprietà delle comunità ebraiche e inviare tutto il materiale d’archivio ai Servizi di sicurezza (Sicherheitsdienst o SD). Gli ordini includevano che i poliziotti dovessero arrestare gli ebrei, soprattutto giovani e di buona costituzione fisica, fino a riempire le carceri.
Le unità delle SS e della Gestapo, seguendo queste direttive, ne arrestarono oltre 30.000 e trasferirono la maggior parte di loro dalle prigioni locali a Dachau, Buchenwald, Sachsenhausen e ad altri campi di concentramento. La Kristallnacht rappresenta il primo caso in cui il regime nazista imprigionò in massa gli ebrei basandosi solo sulla loro etnia. A centinaia morirono nei campi in seguito ai brutali trattamenti ricevuti. Altri furono rilasciati nei tre mesi successivi, a patto che avviassero le pratiche per espatriare dalla Germania.
Quasi nessuno rammenta oggi questo avvenimento, che fu il principio di un cammino che condusse alla “Shoah”. Ricordarlo è invece necessario, perché ci mostra come da episodici disordini, ancorché manovrati, nasce spesso il cammino lastricato d’odio che conduce alle più terribili aberrazioni umane.
Lo è ancor più in questi giorni, in cui folle di dimostranti, sparute ma ignoranti, percorrono le vie delle nostre città accusando di comportamento nazista il governo italiano ed evocano scenari da campi di sterminio. Offendendo, con tali mascalzonate, la memoria e la vita di coloro che veramente furono vittime dei perfidi regimi del Novecento.
Se realmente fossimo governati da un sistema di tipo dittatoriale e nazista dubito fortemente che domattina questi figuri si sveglierebbero sereni nei loro letti.
Quasi a fare da contraltare alla Kristallnacht, in questi giorni si celebra anche il ricordo di un evento ben più lieto: la caduta del muro di Berlino.
La sera del 9 novembre 1989, nel corso di una conferenza stampa, il portavoce del governo della Germania Est, Guenter Schabowski, incalzato dall’allora corrispondente dell’ANSA a Berlino Est, Riccardo Ehrman, annunciò, forse per un malinteso, la modifica con effetto “immediato” delle “norme per i viaggi all’estero”: in particolare sarebbero state permessi gli spostamenti a Berlino Ovest per qualsiasi motivo.
Tale dichiarazione spinse decine di migliaia di berlinesi dell’est verso i posti di frontiera fra le due parti della città. Le guardie, colte di sorpresa da un afflusso così massiccio, chiesero ordini su come comportarsi, ma comunque alzarono le sbarre bianche e rosse permettendo a tutti di passare senza controlli.
Per tutta la notte, una marea festante attraversò il varco proibito, unendosi ad altrettante migliaia di cittadini dell’Ovest che applaudivano. Abbracci tra parenti e amici, costretti a vivere divisi per decenni. Fiaccole, birra e spumante, accompagnarono la folla. In quelle stesse ore fu distribuito un tabloid stampato a tempo di record, con il titolo “Berlino è di nuovo Berlino”. Le immagini di quella notte sono rimaste scolpite nella memoria di tutti noi: sono quelle dei tanti giovani che scavalcarono il muro aiutandosi a vicenda, poi i picconi e i martelli usati dalla sommità della barriera, ormai demolita nelle mente e che presto lo sarebbe stata nei fatti.
Un muro, quello di Berlino, che era rimasto in piedi per 28 anni, causando la morte di 943 persone: i tedeschi della Germania dell’Est che negli anni della Guerra Fredda vennero uccisi nel tentativo di fuggire in Occidente.
Questi due episodi devono essere un monito: è lenta e spesso impercettibile la deriva verso i regimi, ma ancor più lungo e doloroso è il cammino verso la libertà.

Foto Vatican News

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Libertà?

Non pensavo di scrivere in merito alle manifestazioni di questi giorni contro il cosiddetto green pass.
La mia cultura personale, saldamente formatasi e costantemente irrigata dal pensiero democratico, liberale e progressista, mi ha sempre indotto a rispettare ogni manifestazione di dissenso quale libera estrinsecazione della propria opinione.
Tuttavia quanto occorso recentemente si pone oggettivamente all’esterno del lecito dissenso correttamente posto.
Vi sono stati, certamente, tentativi di strumentalizzazione. Abbiamo visto simboli e stendardi di Forza Nuova e Casa Pound affiancarsi a bandiere anarchiche e dei centri sociali. Nihil sub sole novum. Queste formazioni di opposta origine si odiano (forse!) ma sempre sono pronte ad affiancarsi nel cavalcare rabbia e malcontento nel tentativo (quasi sempre vano!) di farsene portavoce.
Ben più inquietante, invece, è la foga e la violenza verbale – e talora non solo verbale – che ha contraddistinto il manifestare chiassoso di coloro che pure non si sono fatti abbindolare dai patetici pifferai degli opposti estremismi.
Si pone un duplice livello di analisi: legale e sostanziale. Che l’introduzione del green pass non sia uno sfregio alla costituzione è stato ampiamente illustrato. Per questo non approfondisco il tema. Invito semmai alla lettura del divertente articolo del prof. Alfonso Celotto “Diventa anche tu un no casc” pubblicato sull’edizione odierna del quotidiano “La Ragione”, un giornale che può essere letto gratuitamente su internet (https://laragione.eu/) o acquistato in edicola al prezzo di 50 centesimi.
Ma vi è un aspetto sostanziale, come detto, molto più preoccupante.
Pur ammettendo che vi siano rispettabili posizioni di dubbio e financo di dissenso che amerebbero manifestarsi in un sereno ed educato confronto, ciò che lascia attoniti è il vociare violento dei manifestanti: un che di nichilista e rabbioso.
Non si odono posizioni costruttive di alternativa, poiché si tende a sommergere le piazze con un compulsivo quanto vuoto urlo di “Libertà! Libertà”.
Pare di udire le piazze di pochi anni fa, che riempivano l’aria dell’urlo “Onestà! Onestà”, contribuendo al successo di un partito che, lucrando sulla rabbia anti-partitica e anti-potere, ha fatto proprio della conquista del potere e della permanenza al governo a qualunque costo il proprio tratto distintivo.
Esprimendo un Presidente del Consiglio che non si è fatto scrupolo alcuno a guidare dapprima un governo completamente orientato a destra e quindi, con impeccabile trasformismo, un governo a trazione diametralmente opposta. E che avrebbe proseguito a farlo con Lello Ciampolillo e con l’accozzaglia di tutti i fuoriusciti da ogni partito, se il Presidente Mattarella non avesse diversamente guidato le cose.
Con buona pace di giornalisti come Travaglio, che fanno del livore il loro tratto caratteristico e che si esprimono spesso con quelli che l’edizione odierna de “Il Foglio” definisce semplici “rutti” meritevoli di sonore “pernacchie”.
Ma ancora peggio è assistere all’inaudito sfoggio di simbologie richiamanti pagine orribili della nostra storia recente. L’assimilazione del green pass all’eugenetica nazista verso gli ebrei, in una sorta di shoah nei confronti dei no-vax, ovvero la presunta analogia di tale strumento all’introduzioni delle leggi razziali determinano l’inesistenza anche del livello più infimo del quoziente intellettivo e, soprattutto, della visione etica e morale del mondo. Ci si pone al di fuori da ogni possibilità di civile dialogo.
Chissà se i facinorosi manifestanti hanno pensato – per un attimo solo – alle vittime dell’epidemia, alle colonne di camion militari carichi di bare e, soprattutto, al dolore delle famiglie che hanno perso i loro cari senza neppure poterli avere accanto negli ultimi istanti.
Perché in fondo se senza misure di cautela rischiassero la vita soltanto gli scalmanati delle piazze si potrebbe anche assecondare il loro pensiero, agevolando una sorta di darwiniana selezione naturale che porterebbe soltanto bene all’umanità.
Purtroppo le conseguenze di cedimenti in tema di green pass e di campagna vaccinale sarebbero pagate anche da altri: gli anziani non ancora vaccinati e coloro che non possono farlo per motivi di salute in primis
Ma il dramma coinvolgerebbe anche la nostra disastrata economia, passibile di nuove e devastanti chiusure. Voglio citarvi alcune parole senz’altro condivisibili: “Il certificato verde segna un primo passo verso la definitiva eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione che tanto hanno danneggiato la nostra economia. E voglio rassicurare sul diritto dei cittadini alla non discriminazione”.
Non sono parole di Draghi né di altri esponenti del governo. Sono affermazioni di Giorgia Meloni del 19 marzo 2021. Parole di una leader politica che stimo essere una donna intelligente ma che troppo spesso si lascia trascinare da una “tattica” da bar sport rispetto ad un’autentica “strategia”, non riuscendo a dar vita a una destra moderna ed europea e restando quindi invischiata in un’area di vaga opposizione casinista e al limite del cialtronaro.
Applichiamo quindi le disposizioni sul green pass, in attesa di estenderle in misura massiccia anche al mondo del lavoro. Sono l’unica strada verso la libertà, quella vera: la libertà dall’isolamento, dalla malattia, dalla crisi economica e dalla morte.
E se qualcuno dovrà rinunciare a una pizza o a un Margarita perché non vaccinato non credo sia un grave problema. La libertà è altro.
E pensare che avremmo dovuto uscirne migliori!

Foto “Repubblica”
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La festa di tutti gli italiani

25 aprile.
Una data fondamentale per il nostro Paese.
Non solo per “qualcuno”, non per “una parte” dell’Italia. Ma una festa di tutti gli italiani, nessuno escluso; qualunque siano le proprie convinzioni.
In questo giorno non si festeggia una vittoria militare: la guerra, in Italia, terminò infatti il 3 maggio. Si festeggia una riscossa civile. Come disse Piero Calamandrei “il carattere che distingue la Resistenza da tutte le altre guerre, anche da quelle fatte da volontari, anche dall’epoca garibaldina, è stato quello di essere più che un movimento militare, un movimento civile”.
Troppo spesso, infatti, rammentiamo la Resistenza armata a scapito di quella “disarmata”, disconoscendo la dignità, la forza, la caparbietà di tanti “civili” – in gran parte donne, vecchi e bambini – che dall’entrata in guerra dell’Italia fino alla Liberazione dovettero convivere con la disoccupazione e la fame mai saziata dai razionamenti. Furono eroiche soprattutto le donne che per tanti mesi lavorarono per un salario di fame, fecero lunghe ed estenuanti code per comprare qualcosa per i propri figli a casa, sempre con la paura del successivo bombardamento notturno e con il pensiero costante al figlio o al marito in qualche lontano fronte di guerra.
Il 25 aprile si ricorda la vittoria della democrazia sull’oppressione, della dignità umana contro la barbarie della guerra, dell’occupazione e dell’odio.
Lasciatemi usare le parole di Norberto Bobbio: “eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà”.
La libertà. Ecco il valore prezioso per tutti gli italiani che si festeggia il 25 aprile!
Per questo il significato di questa ricorrenza è oggi così attuale. Perché le vittorie sbiadiscono, i successi militari si appannano. Ma la libertà è il respiro più vero della civiltà.
Non dobbiamo imbalsamare questa Festa riferendola a un preciso momento storico. Guai a cadere nella trappola della memoria fine a se stessa, della retorica scontata.
Dobbiamo fare del 25 aprile un fondamento sul quale costruire una società rinnovata, nella quale i popoli non si debbano mai più chiudere in una belligerante autarchia, ma abbiano in sé il respiro dell’universalità e della ormai inevitabile interconnessione globale. Un mondo nel quale il concetto ottocentesco di “indipendenza” si schiuda al nuovo valore dell’interdipendenza. Questa è la parola nuova in cui, se non si vuole che il domani ripeta e aggravi gli orrori di ieri, si dovrà riassumere il nuovo senso della libertà, quello da cui potrà nascere un avvenire diverso dal passato: una libertà che unisca gli individui e i popoli, che scandisca la loro dipendenza scambievole; che rivendichi una giustizia da difendere prima negli altri che in noi.
Senza giustizia la libertà è mutilata, ma senza libertà la giustizia è vuoto egualitarismo tirannico.
Resistere non è un grido contro qualcuno. È chiedere unità. È ricominciare la speranza.
Se faremo nostro questo pensiero il 25 aprile non sarà più soltanto rievocazione, ma fertile base verso rinnovati orizzonti.
Sarà, come deve essere e come è, la festa di tutti gli italiani. Nessuno escluso.
Buon 25 aprile!