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Pesach

Pasqua significa “passaggio”, “passare oltre”, dall’aramaico pasah. Gli Ebrei in questa festa, che chiamavano
Pesach, ricordavano il passaggio attraverso il mar Rosso dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione. Per i
cristiani è la festa del passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo.
Quest’anno abbiamo realmente bisogno che la Pasqua rappresenti un passaggio: verso un futuro diverso e
migliore.
Mentre ancora viviamo la pandemia di Covid, che nonostante una minor attenzione da parte dei mezzi di
comunicazione continua a mietere oltre cento vittime al giorno, sperimentiamo anche una guerra nel
nostro continente. Una Pasqua di sangue, potremmo dire. Ancora una volta. La prima occasione in cui
venne utilizzata questa espressione fu nel 1916, allorquando a Dublino gli irlandesi insorsero contro il
dominio britannico. Le truppe della “democratica” Gran Bretagna risposero utilizzando, per la prima volta, i
carri armati contro i civili. Gli organizzatori delle manifestazioni che non morirono sotto il fuoco dei blindati
finirono giustiziati.
Oggi, ancora una volta, la guerra insanguina la Pasqua in Europa. Nel nostro continente, certo, perché in
altre parti del mondo i conflitti perdurano da anni, senza che siano accompagnati da eguale clamore.
Non ho scritto, in queste ultime settimane, di questa vicenda. Sia per la sua cogente e dolorosa tragicità, sia
per il fatto che meriterebbe riflessioni profonde, condotte con una ragionevolezza che vedo carente nel
dibattito in essere.
Esiste un Paese aggressore e uno aggredito. Non ci piove ed è una realtà indiscutibile.
Punto e a capo, però. Non punto e basta! Condannare fermamente ma cercare di comprendere la realtà, le
cause e i possibili scenari futuri è ciò che distingue un essere senziente e ragionevole da un fanatico
pappagallo.
Vi è una frase di Edmund Burke, della seconda metà del ‘700, che campeggia, incisa in trenta lingue diverse,
su un monumento collocato nel campo di concentramento di Dachau: “Chi non conosce la storia è
condannato a ripeterla”.
Pare invece essere in atto una campagna mediatica ispirata dai grossi gruppi editoriali per cui chiunque
voglia approfondire o capire meglio quanto sta accadendo diviene ipso facto un seguace di Putin, il che è
assurdo.
Persino un giornalista solitamente misurato come Gramellini si è esibito in un articolo contro l’Associazione
dei Partigiani davvero vergognoso, in cui è giunto ad accusare i vecchi partigiani di aver tradito i valori della
Resistenza e di omaggiare l’estrema destra ungherese per la disposizione dei colori della bandiera
(ignorando, Gramellini, che tale disposizione era quella utilizzata dalla Resistenza nel ’44) e per la
contrarietà all’invio di armi al governo ucraino e all’aumento di spese militari. Se questo significa tradire i
valori della Resistenza e financo essere contigui al fascismo allora potremmo individuare in Papa Francesco
il leader assoluto di questo fantomatico neo-fascismo!
E’ invece doveroso porsi domande su quali siano le strade migliori per giungere in fretta al termine del
conflitto e su quale ruolo possa svolgere in questa situazione la diplomazia e, in primis, l’Europa, teatro di
questa tragedia.
Temo tuttavia che proprio l’Europa, sino ad oggi, sia una delle vittime della guerra.
Assolutamente privi di ogni iniziativa, che non sia occasionale e singola, i paesi europei si sono totalmente
appiattiti, ancora una volta, sulle posizioni degli Stati Uniti. Ma siamo certi che gli interessi americani
coincidano con quelli europei e, ancor di più, con i nostri?
Personalmente ne dubito fortemente.
Di certo agli Stati Uniti non è utile una rapida cessazione della guerra. Innanzitutto perché un conflitto
prolungato tenderebbe a indebolire Putin. Poi perché il tempo potrebbe, nei loro disegni, imporre
definitivamente l’influenza e il controllo sull’Europa, grazie anche al monopolio digitale delle cosiddette Big
Tech: non dimentichiamoci la lettera acida e minacciosa inviata dall’amministrazione Biden a Bruxelles lo
scorso febbraio in occasione dell’emanazione di un pacchetto di leggi tese a limitare lo strapotere dei
colossi Tech statunitensi. Un altro motivo consiste nel tentativo di sostituirsi nel ruolo di fornitore di beni e
prodotti ai partner europei, come già iniziato con granaglie, petrolio e gas liquefatto. A costi, ovviamente, ​
ben più onerosi. Infine, come spesso accade negli USA, una guerra aiuta la popolarità della leadership. Il che
è particolarmente utile in un momento in cui Biden, dipinto dai media americani come “un anziano che dice
cose sconclusionate” (un “rincoglionito” ha chiosato con minor eleganza Travaglio) è precipitato ai minimi
storici del gradimento.
L’Europa, da parte sua, ha invece il contrario interesse ad una rapida chiusura del conflitto che, in ultima
analisi, è una guerra “per procura” tra Putin e Biden tramite il suo emissario Zelensky. Non solo per motivi
economici, essendo i paesi europei a pagare il costo maggiore della situazione, ma – e soprattutto – per
motivi umanitari.
L’Unione Europea dovrebbe adoperarsi, in autonomia, non già nell’invio sempre maggiore di armi (fatto,
peraltro di dubbia costituzionalità, come ha recentemente argomentato Lorenza Carlassare, docente di
Diritto Costituzionale all’Università di Pavia) ma perché si giunga ad un immediato cessate il fuoco che
consenta l’avvio di una vera trattativa. Sforzo che può compiere solo agendo in prima persona, e non in
qualità di subordinato altrui. Quindi è necessario che stabilisca e disciplini il rapporto con Kiev, desiderosa
di entrare in Europa. E, da ultimo, che affronti di petto il problema della convivenza con Mosca, aldilà di
Putin e anche in funzione di un suo ridimensionamento. Non è pensabile, storicamente e culturalmente,
un’Europa senza Russia.
Occorre – in altre e più semplici parole – uno sforzo immenso verso la pace.
Che è il percorso indicato ieri sera da Papa Francesco, che ha posto accanto una donna russa e una ucraina
nella via crucis, a testimonianza di un immenso dolore che è un’atrocità umana.
Come ha detto il gesuita Padre Antonio Spadaro, è necessario partire dal disarmo delle coscienze, dalla
velleità della pace.
Partiamo da queste basi, cercando la pace e la concordia. Facciamo cessare il rombo delle armi, come
ancora ha ripetuto il pontefice.
Solo così sarà davvero “pasah”, un passare oltre, verso un futuro diverso.
Per l’Ucraina, per la Siria, per lo Yemen, per gli altri 25 Paesi del mondo coinvolti in guerre.
E allora sarà realmente una Buona Pasqua.

Foto di “Avvenire”