Quest’anno è necessario ridefinire e calibrare il senso della giornata del Primo Maggio.
Se già da tempo i mutati scenari occupazionali e sociali imponevano di uscire da una iconografia tipica della metà del secolo scorso, le conseguenze di quanto occorso in quest’ultimo periodo, contraddistinto dell’epidemia, rendono necessario un ripensamento radicale, che sappia restituire a questa festa il valore fondamentale che le compete.
Lo sorso 6 aprile l’ISTAT ha diffuso i dati relativi all’occupazione nel nostro Paese. Credo che le cifre siano elequenti, nella loro cruda drammaticità. Nonostante il blocco dei licenziamenti, a febbraio gli occupati in Italia sono stati 945.000 in meno rispetto allo stesso mese del 2020. In un anno sono crollati i posti a termine (-372mila) e gli autonomi (-355mila). Ma si sono persi anche 218mila dipendenti stabili. La diminuzione è stata più intensa per gli under 35. Il tasso di disoccupazione per i giovani fino ai 24 anni è salito al 31,6%. Sono anche aumentati di 717mila unità gli inattivi, cioè coloro che non sono occupati ma nemmeno cercano un posto.
Non va meglio a livello globale. In questo ambito ci soccorrono i dati forniti dall’ILO, Organizzazione Internazionale de Lavoro, l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite sui temi del lavoro e della politica sociale. Secondo questo Ente la crisi economica e del lavoro causata dal COVID-19 potrebbe incrementare la disoccupazione nel mondo per almeno 25 milioni di persone. Queste si sommerebbero ai 188 milioni di disoccupati nel 2019. L’OIL stima che circa 35 milioni di persone in più si troveranno in condizioni di povertà lavorativa in tutto il mondo. Gli effetti della crisi sulle ore lavorate e sul reddito sono imponenti. Nel secondo trimestre del 2020, ad esempio, le stime aggiornate prevedono una riduzione, a livello globale, delle ore lavorate pari al 17,3 per cento: questa riduzione equivale a 495 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Questa crisi potrebbe avere un impatto maggiore su alcuni gruppi di lavoratori e lavoratrici, aumentando le disuguaglianze. Tra questi, le persone che svolgono lavori meno protetti e meno retribuiti, i giovani, i lavoratori anziani e le lavoratrici.
Il rischio è quello di passare rapidamente da una pandemia sanitaria ad una sociale.
Il virus, lungi da rendere migliore la società, ha semmai esasperato diseguaglianze e ingiustizie.
Dall’inizio della pandemia il patrimonio dei primi 10 miliardari del mondo è aumentato di 540 miliardi di dollari complessivi, che sarebbero più che sufficienti a pagare il vaccino per tutti gli abitanti del pianeta e ad assicurare che nessuno cada in povertà a causa del virus. È quello che emerge dal rapporto della confederazione internazionale di organizzazioni no profit, Oxfam, dal titolo “Il virus della disuguaglianza”, secondo cui le mille persone più ricche della terra hanno recuperato in appena nove mesi tutte le perdite causate dall’emergenza della scorsa primavera e anzi hanno iniziato ad accumulare altra ricchezza, mentre i più poveri per riprendersi dalle catastrofiche conseguenze economiche della pandemia potrebbero impiegare più di 10 anni.
Esistono società che ormai, per dimensioni economiche, possono competere con gli Stati sovrani. Il “valore” di Microsoft, oppure di Google, è pari a quello dell’intero Recovery Fund (NextGenerationEU). Quello di Amazon è superiore.
Vi sono settori passati con minori danni dalle misure limitative e contenitive di questi mesi e altre che sono state praticamente annientate.
Molte realtà economiche, soprattutto nell’ambito del commercio, difficilmente potranno avere un futuro, mentre la vendita di beni e servizi cosiddetti “online” ha ricevuto un impulso inarrestabile. Tuttavia questo tipo di commercio non porta indotto territoriale, ma centralizza gli utili, perlopiù in Paesi a tassazione agevolata.
L’immensa massa di denaro che l’Europa ha stanziato con il Recovery Fund, meglio definito come Next generation EU, come lo ha battezzato la Commissione europea, sono una occasione imperdibile, che tuttavia deve essere gestita con intelligenza e lungimiranza, con occhio profetico sul futuro e con la capacità di discernere le tendenze consolidate di sviluppo globale.
Credo che il “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, presentato dal Presidente del Consiglio Draghi, abbia in sé molti elementi di questa visione profetica del futuro: l’attenzione ai giovani, le misure a sostegno dell’imprenditorialità femminile, il sistema di certificazione della parità di genere che accompagni e incentivi le imprese ad adottare politiche adeguate a ridurre il gap di genere, le ingenti misure destinate alle infrastrutture, soprattutto nel Sud.
Ma anche in tema di lavoro, argomento sul quale stiamo riflettendo, con i 22 miliardi destinati alle politiche attive del lavoro e della formazione, all’inclusione sociale e alla coesione territoriale.
Le linee guide sono state poste con grande correttezza. Non a caso il britannico Financial Times, non sempre indulgente verso il nostro Paese, ha scritto nei giorni scorsi: “L’Italia è diventata un modello europeo. Neanche tre mesi dopo la nascita del governo di Mario Draghi non solo la voce di Roma viene ascoltata forte e chiara a Parigi e Berlino, ma l’Italia sta sempre di più fissando l’agenda dell’UE dettandone i temi”.
Sempre che a rovinare tutto non ci si mettano, per l’ennesima volta, le forze politiche, partiti, partitini, listarelle e caravanserragli vari, intenti quotidianamente a berciare e a battere i piedi per una manciata di consensi in più da conseguire nello psichedelico mondo dei sondaggi.0
Oggi è il giorno di “rispolverare” il pensiero riassunto nella celebre frase di De Gasperi: “un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”.
Solo con questo spirito potremo guardare al futuro con maggiore serenità.
Solo con questi pensieri possiamo celebrare degnamente il Primo Maggio. Con meno bande, concerti e coreografie novecentesche. Ma con attenzione autentica e programmatica al lavoro, alla sua tutela e alla sua sicurezza. Contro la corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti.
