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La pandemia e il futuro.

“El padre abandonava el figliuolo, la moglie el marito, e l’uno fratello l’altro: e gnuno fugiva e abandonava l’uno, inperoché questo morbo s’attachava coll’alito e co’ la vista pareva, e così morivano, e non si trovava chi seppellisse né per denaro né per amicitia e quelli de la casa propria li portava meglio che potea a la fossa senza prete, né uffitio alcuno, né si suonava campana; e in molti luoghi in Siena si fe’ grandi fosse e cupe per la moltitudine de’ morti. E non era alcuno che piangesse alcuno morto, inperochè ognuno aspettava la morte; e morivane tanti, che ognuno credea che fusse finemondo, e non valea né medicina né altro riparo” (Agnolo di Tura del Grasso, Cronaca senese, a cura di A. Lisini e F. Iacometti, in Rerum Italicorum Scriptores, XV, VI, pp. 555-556).
Siamo a Siena, nel 1348, e Agnolo di Tura del Grasso ci offre un terribile quadro della peste che imperversava. Il tratto dominante della descrizione è la paura che ha colpito tutti, come sempre è accaduto nel corso delle numerose epidemie che hanno attraversato la storia. Il terrore è spesso un male non meno grave del morbo stesso, in grado di intaccare il tessuto sociale.
Anche i nostri giorni, con l’espansione della pandemia di Covid, sono caratterizzati dallo sconcerto e dall’incertezza.
Al timore, ovvio, per la salute si aggiunge la nuova paura della povertà, di non poter mantenere il proprio lavoro, di veder vanificati gli sforzi di una vita. Nuova, certo, perché ai tempi della peste la povertà era la norma per la quasi totalità della popolazione.
Una paura che per molti è purtroppo fondata. Un rapporto della Caritas, pubblicato pochi giorni fa in tema di povertà, ci fornisce dati inquietanti. Analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020 emerge infatti che l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in mag-gioranza e delle persone in età lavorativa.
In uno scenario di questo tipo gli scontri tra dimostranti e polizia di queste ultime sere – ovviamente sempre da condannare – devono essere analizzati con una certa attenzione. Non trovo particolarmente preoccupante quanto accaduto a Milano e Torino, laddove non più di un centinaio di persone, equamente suddivise tra estremisti di destra e di sinistra, antagonisti dei centri sociali e ultrà del tifo hanno causato incidenti con la unanime condanna della popolazione, prontamente scesa in strada a ripulire e a sistemare.
Più preoccupante quanto occorso in alcune città del sud, Napoli in primis, laddove è parso di cogliere una saldatura tra facinorosi e alcune aree, ancorché limitate, di popolazione. Il che, peraltro, pare ampiamente comprensibile. Non sempre concordo con le tesi di Roberto Saviano, anzi, ultimamente direi di rado. In questo caso ritengo tuttavia corretta la sua analisi, laddove afferma “si è scatenata la rabbia quando si è visto che i soldi mancano, i locali chiudono, il lavoro nero diventa l’unico possibile. Napoli è stato l’inizio… C’è una parte violenta che è abituata a vivere di disagio. Gli ultras, i disoccupati organizzati, gente che vuole l’obolo. Ma anche tantissime persone che sono disperate. I commercianti che hanno messo i locali a norma. I soldi che mancano sono l’ossessione”.
La situazione economica, peraltro, presenta scenari foschi, che potrebbero addirittura peggiorare nel caso di ulteriori limitazioni future. Un documento dello scorso mese di luglio predisposto dalla Commissione Covid-19 della “Accademia Nazionale dei Lincei”, dopo aver rammentato che in Italia “a una lunga fase di ristagno dell’economia ha corrisposto una altrettanto lunga deriva di aumento della disuguaglianza”, prosegue ricordando che “9,8 milioni d’italiani saranno poveri assoluti (persone e famiglie che non riescono a raggiungere un livello di spesa per un minimo di vita decente). Il rapporto Istat 2020 sugli obiettivi di sviluppo sostenibile stima al 27% le persone a rischio povertà o esclusione sociale”.
Questo è il rischio maggiore per il futuro: una crescita esponenziale del disagio e della povertà, in un contesto sempre più caratterizzato dalle diseguaglianze.
Perché se c’è una cosa che il Covid-19 non ha fermato è la crescita della ricchezza dei pochissimi a scapito della maggioranza della popolazione. Solo negli Stati Uniti, dal 18 marzo al 15 settembre, la ricchezza di 643 persone è cresciuta complessivamente di 845 miliardi di dollari. Contemporaneamente 50 milioni di lavoratori hanno perso il lavoro. Il patrimonio personale di Jeff Bezos (Amazon) è cresciuto del 70 per cento, arrivando a 192 miliardi di dollari, quello di Bill Gates del 20 per cento, giungendo a 118 miliardi. Qualcuno dirà che è aumentata anche l’attività filantropica di questi multimiliardari. Il tema è più delicato di quanto possa sembrare in apparenza. Non è tutto oro quanto luccica! Lungi da me ogni sorta di ridicolo complottismo: lasciamo pur perdere i microchip, i controlli di massa e altre amenità. La realtà è molto più semplice e, se vogliamo, banale. Una mera questione di affari e di interesse: una generosità calcolatrice e non certo un amore per l’umanità. Pensate che gli imprenditori che hanno versato almeno un milione in attività filantropiche hanno ammassato molti più profitti dei loro pari. Grazie innanzitutto agli incentivi fiscali, molto aumentati grazie a Trump. In sostanza la beneficenza viene fatta con fondi sottratti allo Stato, con un minor controllo democratico sull’utilizzo degli stessi. Ma certamente con la creazione di nuovi mercati nei quali i beneficiati, riconoscenti, divengano fedeli consumatori.
Il tema sarebbe lungo da affrontare e meriterebbe di essere descritto nella sua interezza. Per ora suggerisco a chi fosse interessato la lettura del libro di Nicoletta Dentico “Ricchi e buoni? Le trame oscure del turbocapitalismo”, pubblicato dalla casa editrice cattolica EMI – Editrice Missionaria Italiana.
Tornando al nostro Paese appare chiaro che un futuro così complesso sia meritevole di una politica adeguata e di un progetto all’altezza. Di un senso di unitarietà nell’ambito di un disegno globale. Con una maggioranza meno incline ai bisticci e una opposizione che non si perda in banali e contraddittorie contrapposizioni fittizie e meramente strumentali. Con le Regioni che sappiano essere ancillari a un progetto di respiro nazionale e non già laboratori di inefficienza o teatrini per Presidenti da operetta.
La posta in gioco è – mai come questa volta – fondamentale. Dagli indirizzi che verranno presi dipende il riassetto del Paese. Non solo per evitare l’insorgere di scontri sociali dagli esiti incerti, ma per garantire ai giovani un futuro in un’Italia credibile e non devastata dai debiti. In gioco, lasciatemi dire, vi è la sopravvivenza della stessa democrazia. Uno studio pubblicato dall’Università di Cambridge nel gennaio di quest’anno (prima della pandemia) ha mostrato che nei paesi sviluppati coloro che si dichiarano insoddisfatti del sistema democratico sono ormai in maggioranza, il 57%. Percentuale che sale ancora prendendo in considerazione la fascia dei cosiddetti “millennial”, ossia i nati tra il 1981 e il 1996.
Capite quindi l’importanza delle scelte da compiere.
Occorre una progettualità che sappia coniugare gli irrinunciabili principi del pensiero liberale e dei diritti individuali – dei quali mai come ora percepiamo la vitale importanza – con le necessarie spinte di eguaglianza e di giustizia. Quello che potremmo definire un pensiero liberal-socialista, una scuola che in Italia è sempre stata, purtroppo, esigua minoranza.
Vorrei chiudere con una citazione di Valdo Spini che può essere spunto per i giorni a venire: “L’esigenza di una politica socialista -liberale si ripresenta oggi in tutta evidenza proprio con la crisi dell’epidemia… La crisi costringe al non lavoro masse molto ingenti di persone e punisce in particolare i lavoratori autonomi, i precari, i lavoratori in nero. Crea nuove povertà che si affiancano alle vecchie. Un tempo la protezione sociale si esercitava nei confronti dei lavoratori, oggi si deve estendere a chi non ha lavoro” (Valdo Spini – Attualità del socialismo liberale – Quaderni del Circolo Rosselli 2/2020).

Il Trionfo della Morte, Pieter Brueghel il Vecchio, 1562