società

Una barbarie da estirpare

Quotidianamente, ormai, si celebra la giornata internazionale di qualche evento.
Addirittura con una certa esagerazione. Il che non è bene, in quanto – come diceva Confucio – l’eccesso non è meglio dell’insufficienza.
Dal che occorre, per dare il giusto rilievo, operare una cernita tra i fatti celebrati o ricordati.
In questa ottica di selezione non è a mio avviso possibile tacere la tragedia che si ricorda oggi, attraverso la celebrazione della “Giornata internazionale contro l’infibulazione e le mutilazioni genitali femminili”, istituita dalle Nazioni Unite nel 2003.
Le mutilazioni genitali sono una gravissima violazione dei diritti umani e un abuso irreversibile nei confronti dell’integrità fisica delle donne e, nella maggior parte dei casi, delle bambine.
Questa pratica comporta l’incisione o l’asportazione del prepuzio clitorideo oppure la rimozione totale o parziale delle grandi e delle piccole labbra per mezzo di coltelli, lamette, cocci e altri oggetti taglienti, spesso sporchi, quasi sempre senza anestesia. L’igiene insufficiente e la tecnica inadeguata provocano regolarmente emorragie o infezioni spesso letali. Molte ragazze soffrono tutta la vita per le conseguenze di una mutilazione: dolori insopportabili durante i rapporti sessuali e le mestruazioni, sterilità e complicanze durante il parto. Senza contare, ovviamente, le ferite dell’anima.
Ad oggi, secondo stime dell’Onu, sarebbero almeno 200 milioni le donne in vita che hanno subito interventi sui genitali, ancora oggi ampiamente praticati in una trentina di Paesi dell’Africa. In alcuni Stati del Corno d’Africa, Gibuti, Somalia ed Eritrea oltre che in Egitto e Guinea, l’incidenza del fenomeno rimane altissima, toccando il 90 per cento della popolazione femminile. Le mutilazioni genitali sono comuni anche in India, Indonesia, Iraq, Pakistan, Yemen oltre che in alcuni gruppi indigeni dell’America latina. Persistono anche tra le popolazioni immigrate in Nord America, Australia, Nuova Zelanda e in Europa, dove secondo uno studio dell’Europarlamento sarebbero circa mezzo milione le donne sfregiate negli organi riproduttivi con interventi eseguiti clandestinamente.
Le giustificazioni più spesso addotte sono di carattere culturale, come il mantenimento delle tradizioni, il miglioramento della fertilità, la promozione di una coesione sociale e culturale all’interno delle comunità, la prevenzione della promiscuità, la promozione dell’igiene femminile e la preservazione della verginità. Tutte falsità, naturalmente.
E’ altresì un errore imputare a un fattore religioso il mantenimento di questa barbarie.
Nessun gruppo religios organizzata, né di ispirazione cristiana né islamica, la accetta o la propugna.
Si tratta in realtà di una barbarie che affonda le radici in alcuni aspetti sottoculturali locali, tribali in certo senso, che nulla hanno a che fare con la religione. Diciamo la cruda realtà: lo scopo essenziale, aldilà di ogni alibi, è quello di eliminare nella donna la possibilità di provare qualsivoglia piacere sessuale.
Proprio per questo aspetto di “controllo” sul piacere e sul corpo della donna la pratica è antichissima e, sebbene in forme meno cruente, ha goduto di insospettabili complicità anche in epoche e Paesi a noi ben più vicini. Alcuni studiosi ne fanno risalire le origini a un periodo tra il 4.000 e il 3.000 avanti Cristo. Erodoto parla di “recisione”, attribuendone l’uso a Fenici, Hittiti, Etiopi ed Egiziani. Ma ha continuato a esercitare il suo diabolico fascino anche in tempi e civiltà più vicine a noi: Isaac Ray, uno psichiatra inglese del XIX secolo, dichiarava che gli organi riproduttivi delle donne in taluni casi andavano rimossi per la loro “nota tendenza a favorire comportamenti criminali” mentre, fino alla seconda metà del XX secolo, in Europa e Stati Uniti si ricorreva diffusamente alla cosiddetta clitoridectomia per scopi terapeutici nella cura di “patologie” quali isteria, malinconia, masturbazione eccessiva, ninfomania. Perfino la notissima rivista Lancet ne promuoveva gli effetti benefici, mentre in Inghilterra si trovano esempi di escissione del clitoride nel trattamento dei disturbi caratteriali fino a tutti gli anni ’40 del XX secolo.
Da restare sbigottiti.
In tutta Europa sono state emanate normative contro le mutilazioni genitali femminili, ma con scarsi risultati: in tutti i Paesi le condanne si contano sulle dita di una mano, soprattutto per l’assenza di denunce. Unica eccezione la Francia, con oltre 180 condanne. Fatto paradossale, se pensiamo che quest’ultimo è l’unico Paese senza una legislazione specifica.
In realtà, secondo i magistrati d’oltralpe, non sarebbe necessaria. Linda Weil-Curiel, legale francese che ha difeso le vittime di mutilazione in oltre quaranta processi, ha giustamente affermato: “una norma ad hoc è inutile e fuorviante: basta il Codice penale, che in qualsiasi Stato punisce le lesioni permanenti. Il Codice penale è più efficace di una proliferazione di nuove norme difficili da applicare. Serve forse una legge speciale per punire chi amputa una mano o un orecchio?”.
Secondo Linda, accanto ad una intensa opera di sensibilizzazione tra le comunità che praticano tali mutilazione, è assolutamente necessario un secondo fattore: la certezza per chi esegue gli interventi di finire in prigione per un lungo periodo. Talmente giusto da sconfinare nel lapalissiano.
Vorrei trasmettere adeguatamente l’orrore che suscitano le mutilazioni.
Per questo mi affido al racconto di una scrittrice somala naturalizzata olandese, Ayaan Hirsi Ali, che descrive la sua esperienza.

Poi toccò a me. Ormai ero terrorizzata. Quando avremo tolto questo «kintir» (clitoride) tu e tua sorella sarete pure, disse mia nonna. Dalle sue parole e degli strani gesti che faceva con la mano, sembrava che quell’orribile kintir, il mio clitoride, dovesse un giorno crescere fino a penzolarmi tra le gambe. Mi afferrò e mi bloccò la parte superiore del corpo…
Altre due donne mi tennero le gambe divaricate. L’uomo che era un cinconcisore tradizionale appartenente al clan dei fabbri, prese un paio di forbici. Con l’altra mano afferrò quel punto misterioso e cominciò a tirare…
Vidi le forbici scendere tra le mie gambe e l’uomo tagliò piccole labbra e clitoride. Sentii il rumore, come un macellaio che rifila il grasso da un pezzo di carne. Un dolore lancinante, indescrivibile e urlai in maniera disumana.
Poi vennero i punti: il lungo ago spuntato spinto goffamente nelle mie grandi labbra sanguinanti, le mie grida piene di orrore … Terminata la sutura l’uomo spezzò il filo con i denti…
Mi addormentai, credo, perché solo molto più tardi mi resi conto che le mie gambe erano state legate insieme, per impedire i movimenti e facilitare la cicatrizzazione…
Non c’è più tutto il tessuto necessario perché le gambe possano essere divaricate completamente. Nessuna farà più la spaccata. Anche dare un calcio a un pallone può essere impossibile, come andare a cavallo o, nei casi più gravi, nuotare a rana. Dove le infezioni riducono ulteriormente il tessuto, le donne non possono più divaricare le gambe per accovacciarsi e urinare.
Era buio e mi scoppiava la vescica, ma sentivo troppo male per fare pipì. Il dolore acuto era ancora lì e le mie gambe erano coperte di sangue. Sudavo ed ero scossa dai brividi. Soltanto il giorno dopo la nonna mi convinse a orinare almeno un pochino.
Oramai mi faceva male tutto. Finché ero rimasta sdraiata immobile il dolore aveva continuato a martellare penosamente, ma quando urinai la fitta fu acuta come nel momento in cui mi avevano tagliata…
”.

Un fenomeno tragico, per noi impensabile. Proprio il suo essere per noi inconcepibile lo rende difficile da sconfiggere. E’ un dramma radicato in aree lontane dalla nostra quotidianità. Oppure, se a noi vicino, segretamente praticato nelle comunità chiuse degli immigrati.
Una tragedia – tuttavia – con numeri terribili: si stima che solo quest’anno oltre quattro milioni di ragazze saranno sottoposte a questa pratica.
I governi degli Stati in cui le Mutilazioni Genitali Femminili sono ancora diffuse devono sviluppare Piani di azione nazionali per porre fine a questa pratica. Per essere efficaci, questi piani devono prevedere risorse di bilancio dedicate ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, all’istruzione femminile, al welfare e ai servizi legali. Credo sia doveroso subordinare ogni aiuto economico all’assolvimento di tali impegni.
Per quanto riguarda l’Europa è necessaria una capillare opera di educazione e sensibilizzazione delle ragazze immigrate, magari già nate nei nostri Paesi, per strapparle dal rispetto di presunte tradizioni che sono solo orrore. Inoltre bisogna indagare a fondo e reprimere duramente quelle realtà clandestine che nei nostri territori praticano le mutilazioni.
Se non cambieranno le cose nel 2021 ci saranno 8 mutilazioni al minuto. Quante altre bambine dovranno morire o trascorrere menomate il resto della loro vita?
Respingiamo tutti questo orrore e combattiamolo.
E’ un impegno di civiltà.
La difesa della vita, dell’integrità e della dignità delle bambine è un valore non negoziabile, neppure dietro il ridicolo alibi della difesa delle tradizioni altrui.
La civiltà deve imporsi, in questo caso, sulla barbarie.
Altrimenti non merita di definirsi civiltà.