cultura · società

Il lumicino della ragione

Impensabile, lo scorso 31 dicembre, immaginare un anno così terribile.I romani utilizzarono l’espressione “annus horribilis” per definire il 69 dopo Cristo, contraddistinto da 12 mesi di guerra civile e dal susseguirsi di ben quattro imperatori.Bagatelle, in confronto al 2020.L’irrompere improvviso di un nuovo virus ha sconvolto le nostre vite.Dopo un’iniziale fase di superficiale sottovalutazione – ricorderete a febbraio il virologo di fiducia di Fazio parlare di “rischio zero” per l’Italia – questa tragedia si è progressivamente dipanata in un crescendo inarrestabile.Ottantatre milioni di casi nel mondo. Oltre due milioni in Italia, con settantacinque mila vittime.Un’economia devastata. Due milioni di famiglie sul baratro della povertà assoluta e una consistente fetta della classe media che sembra in ginocchio. Uno scivolamento di un milione e mezzo di famiglie della piccola borghesia verso l’indigenza.Ulteriori aggravamenti sono prevedibili con la cessazione dell’attuale blocco ai licenziamenti. Complicanze alle quali faranno seguito ipotizzabili problematiche di ordine pubblico. Tutti – in qualche modo – siamo stati colpiti da questa tragedia.In molti hanno perso i loro cari e comunque tutti siamo stati toccati dal lutto e dal dolore.Tutti siamo scesi nella notte di un cupo Ragnarok, in cui inimmaginabili forze oscure hanno scatenano la loro cieca furia.Ci hanno abbandonato figure care e molti progetti e sogni si sono frantumati quali fragili scialuppe sulle aguzze scogliere del dolore.Per questo non ho pubblicato alcun augurio per Natale. Dentro di me risuonava cantilenante il celebre verso di Quasimodo: “E come potevamo noi cantare…”.Ora ci attende un nuovo anno: un confuso coacervo di inestinguibili speranze e di rassegnate disillusioni.Un incerto cammino verso una nuova forma di lontana normalità. Il vecchio mondo è finito. Dobbiamo accettare la sfida di percorrere sentieri nuovi e percorsi sin qui inesplorati.Auspicando di ritrovare i valori che si impongano sulla sbandierata povertà morale che ha reso irrespirabile l’aria del nostro quotidiano.Invocando l’educazione che superi ogni volgarità e sconfigga il latrato insopportabile di un ormai tracotante egoismo.Dobbiamo abbandonare i vecchi e consunti stereotipi di appartenenza che accompagnavano i giorni, facendo dei nostri pensieri uno stucchevole echeggiare di ridondanti banalità. Affidiamoci al dubbio e abbracciamo la ragione che – come amava dire Norberto Bobbio – non è un lume ma soltanto un lumicino. Unico strumento, tuttavia, per procedere in mezzo alle tenebre.Perché la sobrietà del pensiero si imponga sulle grida stridule delle paure scomposte.Perché cessi alfine quel penoso riflettersi soltanto nei propri bisogni e che lo specchio che ci poniamo dinnanzi divenga limpido vetro per osservare il mondo.Perché il soffio tiepido della cultura vinca la tetra ignoranza, semenza perenne della prepotenza più cinica e della più vile violenza.Accatastiamo pure i nostri scatoloni di dolore e di nostalgia: altrimenti non potrebbe essere. Ma sediamoci su di essi con accanto una persona con la quale guardare al futuro ed alla quale prendere la mano, affinché il cuore vi si addormenti.Abbiate un barlume di fiducia. Non nella natura, che è dolce e affettuosa solo nei film di Disney. Non nell’uomo, capace dell’egoismo più atroce.Ma in un oscuro disegno tracciato per ciascuno di noi. Lo coglieremo strada facendo, amando e proteggendo. Rendendo degna la vita.E allora, di nuovo, ci scopriremo a respirare. Perché la fine, a volte, sa farsi nuovo inizio.