Il giornalista, o forse sarebbe meglio dire il polemista Andrea Scanzi, sempre in prima fila a strepitare, con il suo modo spesso un po’ volgare, contro presunti furbi e furbetti è stato vaccinato ad Arezzo contro il coronavirus in forza della sua dichiarazione con la quale si è definito “caregiver” di genitori fragili da un hotel di Merano dove trascorreva una settimana di relax. Dopo l’istruttoria aperta dal Presidente della Regione Giani sarà ora la Procura della Repubblica di Arezzo a valutare l’eventuale sussistenza di irregolarità ovvero se si possa trattare soltanto di una notevole caduta di stile.
Nel frattempo a Napoli molti tra i collaboratori del Presidente De Luca hanno ricevuto la vaccinazione, superando una lunghissima lista di ultraottentenni e soggetti fragili. La cosa, in questo caso, appare formalmente ineccepibile, in quanto la stessa Regione Campania aveva previsto la vaccinazione di dirigenti e componenti dell’Unità di crisi, ancorché impegnati quotidianamente dietro a una scrivania di un appartato ufficio. Del resto fu proprio il Presidente De Luca tra i primi a farsi vaccinare in Italia ancora nel mese di dicembre.
La situazione è vergognosa un po’ ovunque. Già nel mese di gennaio Cristina De Rold, in un articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore”, stimava in oltre centomila i vaccinati che non rientravano nelle categorie indicate come prioritarie, ossia ospiti delle RSA, personale sanitario o socio-sanitario, e over 80.
A confermare che non tratti soltanto di una mia valutazione personale sono giunte ieri le autorevoli parole del Presidente del Consiglio Draghi, il quale ha affermato: “Per quanto riguarda la copertura vaccinale di coloro che hanno più di 80 anni, persistono purtroppo importanti differenze regionali, che sono molto difficili da accettare. Mentre alcune Regioni seguono le disposizioni del Ministero della Salute, altre trascurano i loro anziani in favore di gruppi che vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale”
Mi duole ammetterlo, ma ancora una volta nel nostro Paese si evidenzia quella che si potrebbe definire la “sindrome di Schettino”, ossia l’irrefrenabile desiderio di porsi in salvo, a qualunque costo, prima degli altri e, il più delle volte, a discapito del prossimo.
Vi è tuttavia anche un’ulteriore constatazione evidenziata per l’ennesima volta dal disastro nel Paese in tema di vaccinazioni che segue una altrettanto deludente e sfaccettata gestione dell’epidemia.
Credo sia giunta l’ora di dirlo con chiarezza: tra le numerose riforme che si impongono nel nostro Paese ve n’è una particolarmente necessaria: l’abolizione delle Regioni, con la necessaria modifica del testo costituzionale.
Mi rendo conto d’essere voce isolata nel dire questo, eppure credo di interpretare un diffuso sentire, magari non esplicitato.
Negli anni le Regioni sono divenuto solo centri di potere e di affari, di appalti e di sottogoverno.
Serbatoi di potere e di clientele per i partiti.
Otto anni fa, nel 2013, la Corte dei Conti e la magistratura svolsero una inchiesta sui rimborsi spese di Presidenti, Assessori e consiglieri delle regioni italiane. Un’operazione allora definita “rimborsopoli”.
Sedici regioni su venti vennero travolte dalle indagini e i consiglieri interessati, in molte realtà, superarono il 60% degli eletti. Tra le spese rimborsate (e quindi pagate da noi contribuenti) figuravano tosaerba, campanacci per bovini, biancheria intima, biglietti per partite di calcio, cibo per gatti, pranzi di nozze, sushi…
Vi è quindi una “questione morale” ma, ancor più, una esigenza di razionalità ed efficienza.
Le Regioni hanno fallito il loro obiettivo.
Inoltre si basano su confini del tutto arbitrari, disegnati a tavolino nell’Ottocento da Pietro Maestri per quelle che lo stesso chiamava “compartimenti statistici” e non “regioni” e che nessun cultore di studi economici, etnici o ambientali ha mai definito tali.
Se volessimo riferirci a un concetto di territorialità dovremmo semmai guardare alle Province, messe in rete e comunque dipendenti da un unico potere centrale. Sono proprio le Province a ricordare l’Italia dei Comuni di antica memoria, quella fatta di piccole imprese, che funzionano perché legate a un territorio in modo reale e sano e non sulla base di costruzioni strumentali solo a guadagnare qualche voto, solo perché in contrapposizione con lo Stato.
Le Regioni, nell’attuale situazione, sono parodie dello Stato, per imitare un sistema federale che non esiste e che non ha ragione di esistere in Italia. Servono solo a limitare gli orizzonti e ad aumentare i cost senza alcuna efficienza: la frammentazione delle ferrovie, della sanità e della scuola ne sono gli esempi più lampanti.
E allora è così assurdo il sogno di abolirle?
