8 marzo: Giornata internazionale della Donna.
Una ricorrenza, anche quest’anno, diversa dal solito.
Una giornata priva di quella pletora di orpelli e banalità che ne offuscavano il reale significato: nessuna mimosa, niente cene, nessun evento ludico.
L’assenza di questi paludamenti ci permette però di cogliere meglio i reali problemi sui quali occorre soffermarci, perché quella odierna è la Giornata della Donna, non la Festa, come vorrebbero esigenze commerciali.
Il primo di questi problemi è certamente la violenza che quotidianamente le donne subiscono. Undici vittime di femminicidio dall’inizio dell’anno. Una tendenza apparentemente inarrestabile: a partire dal 2000 le donne uccise in Italia sono state 3.344.
Oltre a quella estrema del femminicidio permangono molte altre forme di violenza sulle donne. Secondo un recente studio dell’Università di Padova, in Italia il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Significa che sono circa 7 milioni le donne che, almeno una volta nella vita, sono state vittime di qualche tipo di violenza. 4 milioni e 353 mila donne hanno subito violenza fisica, 4 milioni 520 mila violenza sessuale, 1 milione 157 mila le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila).
Dobbiamo anche riflettere sul rapporto tra la donna e il mondo del lavoro.
L’Eu Gender Equality Index ha certificato come il nostro rimanga “l’ultimo Paese in termini di divari nel campo del lavoro”. Lo scorso anno il tasso di occupazione femminile risultava ancora inchiodato al 50,1% (e con la pandemia è sceso di nuovo sotto questa soglia), marcando una distanza di ben 17,9 punti percentuali da quello maschile. I divari territoriali sono molto ampi: il tasso di occupazione delle donne è pari al 60,2% al Nord e al 33,2% al Sud.
In Italia, inoltre, il calo dell’occupazione femminile durante l’emergenza Covid è stato il doppio rispetto alla media Ue, con 402mila posti di lavoro persi tra aprile e settembre 2020.
Nel solo mese di dicembre dello scorso anno si sono persi 101 mila posti di lavoro: 99 mila di questi erano occupati da donne.
Rimane insopportabile anche la differenza di reddito tra generi: “L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa”. Sono parole del premier Mario Draghi, il quale è stato chiaro nel suo discorso programmatico al Senato: il divario di genere in Italia deve essere una priorità e, fra le azioni da intraprendere, c’è quella di colmare la differenza di salario fra uomini e donne.
Vi è ancora quell’odioso e strisciante fenomeno del sessismo volgare e intimidatorio. Un atteggiamento pericolosamente diffuso e, purtroppo, non limitato a fasce limitate e marginali del mondo maschile.
Da quanto detto appare chiaro che non occorrono mimose o frasi melense che durino lo spazio di una giornata. E’ necessario un sostanziale cambiamento di mentalità ma soprattutto, nelle more di questo, occorrono precisi provvedimenti legislativi idonei a governare e accelerare questa trasformazione.
Per quanto riguarda il contrasto alla violenza si impone lo stanziamento in via prioritaria di finanziamenti adeguati per il contrasto alla violenza e l’elaborazione di soluzioni che permettano di fornire una risposta coordinata: i centri anti violenza e le case rifugio nel nostro paese sono poche e senza fondi. Uno studio dell’organizzazione WAVE (Women Against Violence Europe) ha mostrato come nonostante la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa prescriva che ogni Stato disponga di un posto letto in casa rifugio ogni 10.000 abitanti, nel nostro paese manchi l’87% del numero previsto.
E’ altresì necessario riformare profondamente la normativa del cosiddetto “codice rosso”, che si sperava potesse intervenire efficacemente sul tema e che, invece, si è rivelata un fallimento. Il problema è che si è fatta una mera enunciazione di principi, senza la necessaria copertura finanziaria. La legge, infatti, è a “invarianza finanziaria”, ossia non prevede ulteriori fondi. Va fatto tutto con le risorse che già ci sono – e che, la realtà ha dimostrato, non bastano. Non sono previste disponibilità per permettere alle procure di fare fronte ai tempi e ai numeri; non ci sono fondi per potenziare i Centri anti violenza, né per la formazione del personale che si ritrova a raccogliere la denuncia delle donna.
Così accade che, poche settimane fa, Clara Ceccarelli, una donna minacciata da tempo dal proprio ex compagno, si sia pagata il proprio funerale nella certezza di finire assassinata, cosa effettivamente avvenuta pochi giorni dopo.
Per quanto attiene la discriminazione in campo economico e del lavoro possiamo e dobbiamo far nostre le proposte provenienti dall’Europa, ben più lungimirante dell’Italia su questo tema. L’uguaglianza di genere e le pari opportunità per tutti, secondo le direttive UE, dovranno essere tenuti in considerazione nella preparazione e attuazione dei piani per la ripresa e la resilienza, che saranno presentati dagli Stati membri al fine di beneficiare delle risorse del Dispositivo per la ripresa e la resilienza Next generation EU con una dotazione finanziaria di 672,5 miliardi di euro, di cui circa 209 miliardi per l’Italia. Secondo quanto prevede il nuovo regolamento istitutivo del dispositivo, recentemente approvato in via definitiva da Parlamento europeo e Consiglio, i piani dovranno esplicitare le modalità con cui le misure dovrebbero contribuire alla parità di genere. Il Presidente Draghi ne è ben consapevole e l’ha posto tra gli obiettivi del governo nel suo intervento al Senato. Così deve essere.
Per quanto concerne l’ingiuria sessista occorre passare dal biasimo all’azione, anche legale. Occorre che tutti i protagonisti vengano perseguiti in sede penale. Così come è necessario che, laddove l’apparato pubblico possa intervenire direttamente, lo faccia. Per cui se un professore universitario si rivolge a una donna impegnata in politica non già dicendo che le sue tesi sono sbagliate e incompetenti (tesi peraltro condivisibile) ma apostrofando questa donna come “vacca” e “scrofa” deve subito essere subito sospeso dall’insegnamento, come fortunatamente avvenuto: non deve essere per lui possibile interfacciarsi con la platea studentesca, affinché non possa trasmettere la volgarità e lo squallore che alberga nel suo pensiero. Se un cosiddetto opinionista, peraltro straniero, non trova pensiero più intelligente che definire “escort” la moglie di un presidente sulla base di un pregiudizio (o – forse – di becera invidia) ci troviamo dinnanzi a un piccolo e insignificante uomo, che non deve più apparire alla televisione pubblica.
Più in generale qualunque soggetto insulti una donna con frasi sessiste, nella vita o sui social, deve essere perseguito penalmente e rispondere adeguatamente della sua meschinità.
Tutto questo in attesa di un nuovo pensiero diffuso, in cui la donna sia non già eguale ma naturalmente sinergica all’uomo, in un processo di armonioso sviluppo basato sulla eguaglianza e sul rispetto.
Che non è cosa di un giorno, ma conquista definitiva.
Dice un proverbio cinese che le donne sostengono la metà del cielo.
Ma io aggiungo che così facendo rendono migliore anche l’altra metà.
