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8 marzo: la Giornata della donna, non la festa.

8 marzo: Giornata internazionale della Donna.
Giornata, si badi bene. Non Festa.
Anche perché ben poco avrebbero da festeggiare le donne.
Certo non le donne iraniane, uccise, perseguitate e ora anche avvelenate per giungere a chiudere le scuole femminili.
Così come quelle afghane, alle quali è stata impedita a priori la possibilità di accedere all’istruzione.
A scuola, comunque, non possono andare neppure le 12 milioni di bambine, quasi sempre sotto i 15 anni, che ogni anno in Africa e Bangladesh vengono date in sposa a uomini, perlopiù maturi e attempati.
Ancor meno avrebbero da festeggiare le 3 milioni di bambine africane costrette a subire, nel corso del 2022, una delle diverse forme di mutilazione genitale.
Tragedie che avvengono in luoghi remoti, direte voi.
Certo! Grazie a Dio il cammino civile, culturale ed etico percorso nel mondo occidentale rende per noi impensabile una simile barbarie.
Ma ciò non toglie che anche da noi la situazione sia ben lungi dall’essere idilliaca.
Lo potrebbero confermare – se fossero vive – le 124 donne vittime di femminicidio nel 2022 e tutte coloro che anche quest’anno continuano a morire per mano – il più delle volte – del proprio partner o da chi non si rassegna a non esserlo più.
Possiamo poi scordare la violenza sessuale? Un crimine di questo genere viene denunciato ogni 132 minuti, con una media quotidiana di 11 tra stupri e abusi (e sono solo quelli non taciuti dalle vittime) e più di 300 nuovi fascicoli d’indagine al mese. Queste sono le statistiche operative elaborate e diffuse dalla Direzione centrale di Polizia Criminale.
Ma non esiste solo la violenza pura.
Vi è anche quel sottile e ancor più viscido mondo fatto di molestie, battutine, pregiudizi e ammiccamenti.
Un recente studio delle Fondazione Libellula svolto sui luoghi di lavoro ci conferma l’esistenza anche in questo ambito di una situazione allarmante. Più di una donna su 2 (il 55%) si dichiara vittima di una manifestazione diretta di molestia. Il 22% ha dichiarato di aver avuto contatti fisici indesiderati e il 53% ha subito complimenti espliciti non graditi. Le conseguenze si riflettono in una limitazione del proprio comportamento per paura che possa essere male interpretato o portare a conseguenze negative: il 58% delle donne intervistate non reagisce efficacemente di fronte ad una molestia, di queste il 38% non vuole passare come una persona troppo aggressiva o “quella che se la prende”, mentre l’11% non sa come fare.
Capirete che parliamo di un problema di sottocultura insito all’interno del contesto professionale italiano e che necessita di un profondo lavoro di educazione, sensibilizzazione e, vorrei aggiungere, di previsione di idonee sanzioni. Il linguaggio e gli atteggiamenti non verbali limitano e danneggiano infatti la dimensione professionale delle donne sul posto ove sono occupate. Per troppe di loro i luoghi di lavoro rappresentano contesti poco sicuri, psicologicamente e fisicamente complicati.
Ci troviamo anche dinnanzi a penalizzazioni intrinseche anche nell’accesso stesso all’impiego.
L’occupazione cresce, ma non intacca il divario di genere. Pur avendo toccato quota 60,5% lo scorso ottobre, i tassi di occupazione di uomini e donne continuano a restare distanti (rispettivamente 69,5% e 51,4%), con un gap di genere del 18%.
Il tasso di disoccupazione femminile è al 9,2% contro il 6,8% degli uomini, divario che aumenta per i giovani fra i 15 e i 24 anni con tassi del 32,8% per le ragazze e il 27,7% per i ragazzi.
Anche la sfera della non partecipazione vede ancora penalizzate le donne con un tasso di inattività del 43,3% contro il 25,3% degli uomini.
Con dati, addirittura, in progressivo peggioramento per le donne. Se confrontiamo, infatti, le cifre del 2022 con quelle del 2021 vediamo che i tassi di occupazione crescono di più per gli uomini che per le donne (+1,7% contro +1,4%) e che la disoccupazione cala in misura maggiore per gli uomini (-1,2% contro -0,9%).
Secondo il “Rapporto globale sul divario di genere 2022” del World Economic Forum, l’Italia si colloca al 63° posto su 146 paesi nell’indice globale sulla base dei fattori economia, istruzione, salute e politica. Una posizione in ulteriore discesa, tuttavia, se si valuta esclusivamente il sottoindice riferito agli aspetti economici e di opportunità femminile. La posizione dell’Italia in tale ambito, al 110° posto, è in fondo alla classifica dei paesi europei e segue Stati come Angola, Nicaragua e Tajikistan.
Converrete con me che vi è poco da festeggiare e molto su cui riflettere.
Per questo l’8 marzo è la Giornata della donna e non certo la Festa.
Un giorno in cui porre al centro del dibattito i diritti di parità, di eguale accesso al lavoro, di sicurezza fisica e morale.
Ho l’impressione che, nell’ultimo periodo, si sia posto un eccessivo accento su alcune tipologie di diritti, per lo più legati alla sfera sessuale e di manifestazione della stessa.
Ma i diritti primari ed essenziali sono in realtà quelli politici ed economici, che consentano – come dicevo – eguaglianza tra i generi, paritario diritto al lavoro, identica retribuzione e un dignitoso sostentamento.
Occorre quindi che le riflessioni di oggi possano svilupparsi in comportamenti individuali conseguenti e – da parte della politica – in adeguate iniziative legislative.
Non occorrono tonnellate di sgargianti mimose, utili solo all’economia dei vivaisti. Non occorrono ipocriti e narcotici festeggiamenti, cene e carnevalate varie.
Anche l’iniziativa proposta dal ministro Sangiuliano di consentire, domani, l’ingresso gratuito per le donne in musei, parchi archeologici, complessi monumentali, castelli, ville e giardini storici e altri luoghi della cultura statali, ancorché non disprezzabile, giace ancora al di qua del confine del mutamento, fermandosi nel comodo campo di un cortese paternalismo.
L’eguaglianza delle donne non è un favore verso questo genere, è una doverosa spinta di civiltà e di crescita culturale ed economica.
Dice un proverbio cinese che le donne sostengono la metà del cielo.
Rendendo migliore anche l’altra metà.

Foto Rizzoli Libri

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Nessuna esclusa

Sono giorni tristi questi.
Una pandemia tragica è ancora lontana dalla conclusione. Nelle scorse ore si sono registrati oltre 41 mila casi: gli stessi del novembre 2020, anche se, grazie alla campagna vaccinale, i morti sono diminuiti.
A questo dramma, che certamente non è poco, si sono aggiunte le azioni di guerra che scuotono in questi giorni l’Ucraina.
Un quadro fosco, un connubio inquietante che diffonde una sensazione diffusa di paura.
Al timore per una pandemia mai sperimentata da chi oggi vive si è aggiunta l’angoscia per un conflitto nel nostro continente, che ormai consideravamo indenne da tali flagelli.
In tale contesto si celebra oggi l’8 marzo.
Credo sia evidente a tutti come tale giornata, quest’anno, assuma una dimensione diversa e, certamente, più ampia, laddove ogni aspetto di futile celebrazione floreale lascia il campo a riflessioni articolate e più esaustive.
I principali mezzi di comunicazione hanno dedicato l’odierna ricorrenza alle “donne ucraine”.
Ineccepibile rivolgere loro un pensiero in giornate così dolorose e drammatiche.
Ineccepibile ma limitativo, frutto forse di una giustificata onda emotiva e di una narrazione in verità piuttosto standardizzata.
Credo che un pensiero debba essere rivolto anche alle donne russe, perché se è terribile essere coinvolte in un conflitto lo è anche veder partire i propri figli per una guerra che, magari, neppure si comprende né si condivide.
Così come dobbiamo ricordare le donne afghane. Dimenticate prima dalle forze militari occidentali, in primis da quelle della Nato, in una vergognosa quanto disordinata fuga e oggi del tutto scordate dai mezzi di informazione, che hanno steso su di loro un velo di imperdonabile oblio. Essere frustate per una passeggiata in solitudine, allontanate dallo studio, impedite nell’igiene personale svolta negli hammam, costrette a matrimoni con i guerriglieri talebani e talora costrette alla vendita dei loro figli per sopravvivere non è certo scenario migliore. Anche se non accade in Europa.
Dovremmo inoltre dimenticare duecento milioni di ragazze africane sottoposte a mutilazioni genitali femminili?
O le donne curde, siriane, libanesi, yemenite, haitiane o del Myanmar che da anni combattono, soffrono e convivono con inesplicabili guerre divenendo spesso profughe prive di soccorso? Forse perché tali conflitti avvengono lontano dal nostro continente?
La lezione che dobbiamo trarre da questi giorni difficili e tragici è che l’8 marzo non è una serata in compagnia o un mazzo di mimose.
Mai come quest’anno deve essere un’occasione per scorgere nel mondo il dramma delle donne private dei loro diritti e la necessità di un profondo cambiamento.
Guardando anche, come ovvio, al nostro Paese.
Perché anche in Italia molto rimane da fare per l’universo femminile.
Ci sono le 119 donne vittime di femminicidio nel 2021, con un collaterale aumento dei casi di stalking, maltrattamenti e violenza sessuale, cresciuti del 30%.
Ma ci sono anche situazioni meno eclatanti, che non godono delle luci della cronaca, ma che costituiscono uno stillicidio di prepotenza e ingiustizia.
Persistono purtroppo ingiustificabili divari, per esempio, nel lavoro e a livello di retribuzioni, nelle posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale.
Secondo un recente studio, rispetto agli uomini più donne concludono gli studi universitari, con voti migliori e prendono parte a esperienze di tirocinio curriculare, nonché di lavoro durante gli studi e di formazione all’estero. Ma tutto questo non sana le inique differenze: il tasso di occupazione dei laureati di secondo livello, a cinque anni dal titolo, è dell’85,2 per cento per le donne e del 91,2 per cento per gli uomini.
A cinque anni dalla laurea gli uomini percepiscono, in media, circa il 20 per cento in più e svolgono professioni maggiormente qualificate. E il divario si amplifica in presenza di figli, perché la maternità e il lavoro continuano a essere inconciliabili per troppe madri.
Esiste poi l’intramontabile – e immarcescibile – repertorio di luoghi comuni e di stereotipi sulle donne. Espressioni che feriscono, segnano confini di genere e costringono le donne in ruoli prestabiliti, imprigionandole in una gabbia invisibile e inviolabile.
Luoghi comuni che troppo spesso tendiamo a cogliere con un sorriso di imbarazzo o, al più, con un senso di fastidio, anziché con l’indignazione che dovrebbero suscitare.
L’8 marzo di quest’anno, come sempre dovrebbe essere ma oggi ancor più, non è pertanto una “festa”, bensì una celebrazione dedicata ai diritti delle donne.
Di ogni parte del mondo e di ogni età.
Perché un mondo senza le donne sarebbe solo un malinconico errore.

Foto: Ministero della Salute – Italia