25 novembre: “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne”.
La gran parte della stampa, nei suoi titoli, scrive che si “celebra” tale giornata. Forse un termine poco felice, se inteso nel suo significato di “festeggiare solennemente con cerimonie varie” (cfr. Treccani). Meglio sarebbe forse dire che si “ricorda” la violenza sulle donne, al limite che si “commemora”.
Perché la cosa davvero importante è riflettere, analizzare e diventare più consapevoli di questo gravissimo problema.Un dramma che, ben lontano dall’essere risolto, è addirittura peggiorato nel corso del 2020.
Partiamo dall’aspetto più efferato: il femminicidio. Nei primi dieci mesi del 2020 le donne vittime di femminicidio sono state 91, una ogni tre giorni, come ci dice il VII Rapporto Eures – Ricerche Economiche e Sociali. L’incidenza del contesto familiare nei femminicidi raggiunge nel 2020 il valore record dell’89%, superando il già elevatissimo 85,8% registrato nel 2019. La coppia continua a rappresentare il contesto relazionale più a rischio per le donne, con 1.628 vittime tra le coniugi, partner, amanti o ex partner negli ultimi 20 anni. Uccise da colui che dovrebbe declinare il proprio sentimento in gesti di protezione.
Ma le forme di violenza non si limitano all’uccisione. Una disanima in tal senso è stata recentemente illustrata in uno studio della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche a cura del sociologo Alberto Pellegrino. Esiste la violenza domestica, esercitata soprattutto nell’ambito familiare o nella cerchia di conoscenti, attraverso minacce, maltrattamenti fisici e psicologici, atti persecutori, stalking, percosse, abusi sessuali, delitti d’onore, femminicidi passionali o premeditati. Una forma particolare di violenza familiare è la violenza economica, che consiste nel controllo del denaro da parte del partner, nel divieto d’intraprendere attività lavorative esterne all’ambiente domestico, nel controllo delle proprietà e nel divieto ad ogni iniziativa autonoma rispetto al patrimonio della donna.
Esiste poi una violenza esercitata sul posto di lavoro, dove le donne sono esposte ad abusi e ricatti sessuali. Si tratta di una sopraffazione molto sottostimata nelle sue manifestazioni fisiche e sessuali, che va da una forma di maschilismo soft basato su battute, offerte di protezione e tentativi di seduzione per arrivare alle violenze fisiche e a tutti i tipi di molestie sessuali. Ci sono forme di maltrattamenti psicologici che entrano a far parte dei rapporti di lavoro e che finiscono per essere considerati come inevitabili, pur provocando uno stato d’insofferenza e di disagio nelle donne che sentono di essere considerate come un oggetto, caricate di eccessive responsabilità e di paure con minacce vaghe o palesi.
Vediamo ancora qualche cifra, fornita dall’ISTAT Istituto Nazionale di Statistica, per meglio cogliere la dimensione della situazione nel nostro Paese. Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Le donne subiscono minacce (12,3%), sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi. Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%).
Particolare allarme desta la nuova fattispecie di reato denominata “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (chiamata spesso “revenge porn”), con 718 denunce nel corso del 2020 (oltre – ovviamente – al “sommerso” non denunciato per vergogna). Due video intimi di donne al giorno vengono diffusi illecitamente da fidanzati o ex fidanzati al fine di umiliarle o ricattarle. E’ di pochi giorni fa il caso di Torino, laddove un delinquente che aveva avuto una relazione con una maestra ne ha diffuso un video intimo. Con il risultato che la maestra è stata licenziata dalla preside, a suo dire per le pressioni dei genitori. Il che da un lato dimostra che talora i genitori sono i peggiori esempi per i figli e dall’altro che manca ancora un sistema scolastico adeguato, che avrebbe già provveduto a rimuovere dall’incarico la preside in questione, non foss’altro che per il “clamor fori” dei fatti.
E se tutto questo non bastasse le vicende legate al Covid hanno accentuato ancor più le situazioni difficili. La pandemia ha agito da amplificatore, aggiungendo isolamento a isolamento: la quarantena ha trasformato la casa di tante in una trappola. Le ha difese dal coronavirus, ma le ha lasciate in balia dei partner. Le chiamate al numero verde 1522, il centralino del Dipartimento Pari opportunità, nei primi 10 mesi dell’anno sono aumentate superando nel solo periodo considerato i livelli degli anni precedenti, con le vittime salite a quota 12.833 al 30 ottobre.
Che cosa possiamo fare dinnanzi a tale stato delle cose?
Qualcosa, certamente, dovrà essere fatto a livello istituzionale. Non a caso nello scorso mese di ottobre il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha bocciato nuovamente l’Italia, responsabile di ostacolare l’accesso alla giustizia alle donne vittime di violenza. Per questo resterà sotto vigilanza rafforzata e dovrà fornire, entro il 31 marzo del 2021, le informazioni sulle misure adottate per garantire un’adeguata ed efficace valutazione del rischio che corrono le donne che denunciano violenza e dimostrare la concreta applicazione delle leggi. L’Italia è stata anche sollecitata a fare di più per la prevenzione della violenza e per garantire la presenza dei Centri antiviolenza e delle risorse a loro disposizione.
Ma un compito importante spetta a tutti noi: quello di combattere quotidianamente gli stereotipi di genere ancora così diffusi. Quelli secondo i quali un italiano su tre, anche tra i giovani, ritiene accettabile la violenza contro la donna tramite soli schiaffi, pensa che le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescano a evitarlo e che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire. Come emerso in una audizione presso la Camera dei Deputati. Dobbiamo controbattere ogni qualvolta ci capita di ascoltare simili scempiaggini.
Analoga attenzione deve essere rivolta alla stampa. Alcuni quotidiani fanno della minimizzazione della violenza una costante editoriale. Si veda, ad esempio, l’articolo di Vittorio Feltri di ieri su Libero. Ma anche quotidiani ben più attendibili spesso si esibiscono in cadute di stile magari involontarie ma non per questo meno pericolose. Un esempio? Il Sole 24 Ore, quotidiano certamente molto serio e che oggi pubblica un ottimo servizio in tema di violenza sulle donne, l’altro giorno, nel commentare lo stupro operato da un noto imprenditore napoletano che ha fondato il famoso sito di “facile.it”, ha scritto: “Un vulcano di idee che, al momento, è stato spento” e proseguiva descrivendo i successi di studio e professionali dell’uomo accusato di aver drogato e stuprato una ragazza ad una “festa” in casa sua. Sbagliato! Avrebbe dovuto definirlo, molto più sinteticamente, un autentico stronzo consumatore abituale di droga. Punto. Bisogna dire, a onor del vero, che, di fronte alla reazione indignata di molte persone e delle stesse giornaliste del quotidiano, il Sole 24 Ore ha modificato sulla rete l’articolo e si è pubblicamente scusato. Questa è una reazione che dobbiamo avere ogni giorno: non comprare quotidiani misogini e – nel caso di incaute espressioni da parte di quelli seri – esprimere protesta e indignazione. Una piccola cosa? Non credo. Un passo importante nella lotta agli stereotipi di genere.
Molto ci sarebbe ancora da dire, ma mi sono già dilungato abbastanza. Oggi assisteremo, soprattutto sui social, a un florilegio di belle foto, di intriganti citazioni, di slogan accattivanti. Bene, ma poco. Superficialità autoassolutoria. Caliamo il nostro rifiuto nel quotidiano, nella vita di ogni giorno. Con piccoli ma importanti gesti che combattano ogni ancor minima giustificazione alla violenza.La battaglia culturale contro la violenza sessuale deve passare attraverso un’educazione alla sessualità e all’amore, per valorizzare l’incontro tra i sessi come un incontro tra differenze. Questo tipo di formazione non può prescindere da un’educazione al rispetto dell’altro, dalla convinzione che la domanda d’amore non può mai coincidere con il sopruso. La forma più alta d’amore è anche amare la differenza, di cui la donna è il simbolo.
